Giugno 25

SOMMARIO


La comunicazione della PEC degli amministratori

La legge di Bilancio 2025, entrata in vigore il 1° gennaio 2025, ha esteso l’obbligo di possedere un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) agli amministratori di imprese costituite in forma societaria (sia di capitali che di persone) e di comunicare il suddetto indirizzo PEC nel Registro delle imprese, affinché sia annotato quale domicilio digitale di questi soggetti.

Le imprese costituite dopo il 1° gennaio 2025, o quelle che presentano domanda di iscrizione dopo tale data, hanno l’obbligo di indicare la PEC degli amministratori contestualmente al deposito della domanda di iscrizione nel Registro delle imprese.

Ma l’obbligo di iscrizione della PEC degli amministratori nel Registro delle imprese si applica anche alle società costituite prima del 1° gennaio 2025, riguarda tutti gli amministratori e richiede l’iscrizione di un indirizzo PEC personale per ciascuno di essi.

Trattandosi di indirizzo “personale”, la stessa persona fisica che ricopra il ruolo di amministratore in più società potrà utilizzare lo stesso indirizzo per ciascuna di esse.

La comunicazione, per evitare sanzioni, deve essere effettuata entro il prossimo 30 giugno 2025.

A poche settimane dalla scadenza regna ancora l’incertezza: alcune Camere di Commercio, conformemente all’orientamento espresso da Unioncamere e CNN, accettano il fatto che il domicilio digitale (PEC) dell’amministratore, possa coincidere con il domicilio digitale (PEC) della società; altre richiedono invece che ciascun amministratore sia titolare di una PEC personale.

TORNA SU


Le note di variazione IVA in caso di procedure concorsuali

Con riferimento alle procedure concorsuali avviate dopo il 25 maggio 2021, il comma 3-bis dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, prevede la possibilità per il cedente/prestatore di recuperare l’IVA non riscossa attraverso l’emissione di una nota di variazione in diminuzione nei confronti del cessionario/committente “a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale”, senza la necessità di effettuare preventivamente l’insinuazione al passivo.

La nota di credito deve però essere emessa entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno di apertura della procedura.

Decorso questo termine non è più ammessa né la presentazione di una dichiarazione integrativa a favore, né la presentazione di istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate.

Si segnala tuttavia che nella risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 485/2022 è previsto che “laddove il cedente/prestatore, ritenendo di poter utilmente recuperare il proprio credito, scegliesse di insinuarsi al passivo e di non avvalersi della facoltà prevista dal predetto comma 3-bis, e la procedura concorsuale si rivelasse infruttuosa, il medesimo potrebbe comunque avvalersi di quanto disposto dal comma 2 dello stesso articolo 26“.

In quel caso il termine per l’emissione della nota di variazione sarebbe quello di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno di chiusura della procedura.

Nel caso in cui, successivamente all’emissione della nota di variazione in diminuzione, il corrispettivo dovesse essere pagato in tutto o in parte, il creditore dovrà emettere una nota di variazione in aumento così da riallineare le variazioni dell’imponibile al corrispettivo effettivamente incassato.

La nota di credito deve contenere sia l’imponibile che l’IVA, andando così a stornare anche l’imponibile non incassato poiché “il mancato pagamento a causa di procedure concorsuali deve essere, comunque, riferito all’operazione originaria nel suo complesso e, pertanto, non è possibile emettere nota di variazione per il recupero della sola imposta“.

Attenzione perché una nota di variazione di sola IVA potrebbe essere considerata errata dall’Agenzia delle Entrate con la conseguenza che, qualora fosse nel frattempo spirato il termine di cui sopra, verrebbe definitivamente meno la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione della relativa imposta in sede di dichiarazione IVA.

Nella circolare n. 20/E del 29 dicembre 2021, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, in caso di concordato preventivo, a differenza delle altre procedure concorsuali, il creditore può emettere una nota di variazione in diminuzione solo per la quota di credito chirografario destinata a restare insoddisfatta, in base alle percentuali definite dalla procedura.

TORNA SU


Agevolazioni “prima casa” su più immobili

Corte di Cassazione, Ordinanza 27 marzo 2025, n. 8139

Le agevolazioni “prima casa”, sussistendone le condizioni, si applicano anche per le ipotesi di acquisto contemporaneo di immobili contigui, destinati a costituire un’unica unità abitativa, ovvero di un immobile contiguo ad altra casa di abitazione già acquistata dallo stesso soggetto fruendo dei benefici “prima casa”, sempreché detto acquisto sia finalizzato a costituire con quest’ultima un’unica unità abitativa.

Per poter fruire dell’agevolazione, l’immobile risultante dalla riunione delle unità immobiliari acquistate con le agevolazioni, dovrà essere accatastato, ricorrendone i presupposti, nelle categorie da A/2 ad A/7 che possono beneficiare dell’agevolazione, con esclusione, dunque delle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

L’Amministrazione finanziaria ha quindi ammesso con numerosi documenti di prassi che il beneficio “prima casa” è concesso anche su due immobili purché ricorrano entrambe le seguenti condizioni:

  • i due appartamenti contigui devono essere destinati, dopo l’acquisto, a costituire un’unica unità abitativa;
  • l’immobile risultante dall’unificazione deve conservare le caratteristiche tipiche degli immobili in relazione ai quali può essere concessa l’agevolazione “prima casa”.

La Giurisprudenza, in assenza di un termine specificamente indicato dalla norma per l’unificazione, ha avuto modo di chiarire che l’agevolazione presuppone che, “entro il termine di tre anni dalla registrazione, sia dato effettivo seguito all’impegno assunto dai contribuenti, in sede di rogito, di procedere all’unificazione dei locali”.

TORNA SU


La detrazione delle spese per familiari a carico

Possono essere detratte dall’IRPEF anche alcune spese sostenute nell’interesse di familiari fiscalmente a carico.

Tra le più ricorrenti segnaliamo:

  • spese sanitarie;
  • premi assicurativi;
  • contributi previdenziali e contributi versati alle forme di previdenza complementare;
  • contributi versati ad enti e casse aventi fine assistenziale;
  • spese per asili nido;
  • spese scolastiche ed erogazioni liberali agli istituti scolastici;
  • spese universitarie e canoni di locazione degli studenti universitari fuori sede;
  • spese per gli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico.

Con riferimento agli oneri sostenuti per i familiari fiscalmente a carico l’Agenzia delle Entrate ha più volte precisato che la detrazione spetta al contribuente al quale è intestato il documento che certifica la spesa.

Se la spesa riguarda i figli, ha diritto a richiedere la detrazione il genitore che l’ha sostenuta, indipendentemente dal fatto che egli sia titolare o meno anche della detrazione per figli a carico e dalla modalità di ripartizione con l’altro genitore di quest’ultima detrazione.

Quando il documento è intestato al figlio fiscalmente a carico, le spese vanno dunque suddivise tra i genitori in relazione al loro effettivo sostenimento.

Se le spese sono state sostenute da uno solo dei genitori, quest’ultimo può quindi calcolare la detrazione sull’intero importo, attestando tale circostanza sul documento comprovante la spesa.

Nel caso in cui anche uno dei due genitori sia fiscalmente a carico dell’altro, quest’ultimo può portare in detrazione l’intera spesa sostenuta nell’interesse del figlio, anche se i documenti sono intestati all’altro genitore.